giovedì 25 aprile 2024

Quando conosci la storia ogni cosa ha un valore diverso

A vederla così, oggi, si potrebbe pensare ad un qualsiasi rudere, i monti liguri ne sono pieni, ed era proprio quello che pensavamo noi ragazzetti, che passavamo davanti a questa casa diroccata (1390 m.slm) per salire al Monte Antola per le nostre escursioni vacanziere. Dentro c'erano ancora i tavoloni di legno, le panche e quell'arredo semplice delle case dei montanari, la stufa in ghisa, enorme, il lavatoio di ardesia e tutta una serie di cose che il tempo sgretolava con diligenza, piatti, bicchieri, posate, tante bottiglie. Quando assieme a noi c'era qualche vecchio del Paese, guardava dentro la casa con rispetto e diceva: questa è la Cà du Piccettu.
Sembrava quasi che lo cercasse, che si aspettasse che Piccetto (Pettirosso) uscisse fuori a salutarci. E quando rientravamo in Paese, gli altri vecchi, alla sera mentre giocavano a carte, ci chiedevano: siete passati dalla Cà du Piccettu? e com'è? è ancora in piedi? e dentro cosa è rimasto? l'inverno ha fatto dei danni al tetto?
Alle nostre risposte seguivano notizie su particolari che nemmeno avevamo notato; che i vecchi del Paese quella casa la conoscevano come le loro tasche.

Il mistero di tutto questo interesse è finalmente stato svelato da uno scritto che dice più o meno così...

Antonio Navone nacque a Cerviasca il 5 giugno 1863; a ventiquattro anni si sposò con Caterina, dei Lavazzoli, un anno più grande di lui, in piazza Martinez, a San Fruttuoso (che da una dozzina d’anni appena non faceva più Comune autonomo dalla città). 

Perché si sposarono laggiù? Ci viveva lei? Ci lavorava lui?

La sua d’origine era una famiglia numerosa: qualche fratello emigrato, le sorelle sposate nei paesi vicini (solo una in paese, già anziana sposò un vedovo). Il fratello immediatamente più grande lo chiamavano il Mago.
Antonio e Caterina vissero ai Lavazzuoli: lei partorì sei figli; lui lo chiamavano Piccetto. 
Secondo il censimento del parroco di Senarega, a Lavazzuoli (Lavazzolo scrive) nel 1915 abitano sei famiglie per un totale di ventinove persone. Trent’anni dopo, nel 1944, ci risiedono ancora in ventisei, divisi sempre in sei famiglie. Ma a viverci effettivamente sono quasi il doppio: c’è la guerra, ci sono gli sfollati, e anche chi era andato via è ritornato.
Emanuele, ad esempio, ultimogenito del Piccetto (nato nel 1906), che al principio della guerra, con la moglie e il figlio undicenne, si era trasferito a Savignone.
Alla nascita di Emanuele, suo fratello maggiore, il primogenito (Giovanni in parrocchia, Giuseppe in Comune) aveva diciotto anni. Nato nel 1888 e vissuto a lungo in America, a Washington, aveva preso moglie a Roiale.
Dal matrimonio, celebrato a Senarega nella primavera del 1925, nasce un solo bambino, venuto al mondo il 5 di febbraio del 1926, di venerdì.
Antonio, come il nonno.
Il nonno Piccetto che era morto da tanti anni. “Morto nella sua casa osteria posta sull’Antola” scrive il parroco. Era l’estate del 1917, il 31 di luglio; aveva 54 anni e due figli -Genio e Giaco- militari sull’Isonzo – e infine a casa.
Per tornare dall'America, saggiamente, il primogenito Giovanni/Giuseppe aveva atteso la fine del conflitto.

A novembre” -1943- “è appeso ai “canti” il manifesto di chiamata alle armi del primo scaglione della classe 1925, sotto la Repubblica di Salò. Sono brutti momenti, a casa non si dorme più, anche perché io sono di marzo del 1925. È necessario trovare una famiglia disposta ad ospitarmi fuori Torriglia. Mio papà parla con discrezione a dei contadini, mia madre molto più convincente si accorda con il Cobbe dei Rossi di Piancassina per ospitarmi. Il paesino si trova nella alta Val Brevenna, sotto la casa del Piccetto presso l’Antola” – scrive Tan negli anni Settanta, nel suo bellissimo diario della guerra.
L’otto dicembre 1943 parto, vado lassù, la gente è bravissima il paese è carino, vi sono tanti giovani, faccio subito amicizia, mi procurano due fucili avancarica. Quello di Alfonso è con le canne corte e “lise”, quello di Genio è più robusto. I contatti con la mia famiglia sono costanti grazie ad un mercante che settimanalmente viene a comprare delle formaggette. Mia mamma all’insaputa di mio padre mi fornisce polvere e pallini; il papà all’insaputa della mamma pure. Il tabacco mi arriva tramite mia sorella che ha la rivendita a Torriglia.
Fumano tutti, anche i bambini. Rinaldo poi è un patito, siamo costretti a mettere un po’ di polvere da sparo nella sigaretta, quella fa una bella fiammata appena accesa bruciandogli le ciglia, ma lui non desiste, è pronto a ricominciare.
Si comincia alla sera verso le 17,30 a giocare a carte: poi Alfonso racconta avventure di caccia: “balle” grosse come l’intera vallata.
A me proprio non vanno giù perché le mie giornate di caccia sono scarsissime, senza contare i capricci della polvere che a volte fa cilecca e mi annerisce il viso. La Rosin mi sgrida dicendomi che una volta o l’altra rimango senza testa.
Genio conosce tutti i trucchi per tendere le trappole per le volpi; a volte però rimangono i cani, sovente quelli di Antonio della Piccetta, così noi abbiamo congegnato un semplice arnese per liberarli: è un attrezzo con l’estremità a forca: si immobilizza il cane, prima dal collo, mentre un altro deve allargare le molle con l’attrezzo stesso”.

Lassù a Piancassina (Pian Cascine per il prete) Tan resta poco; trova ospitalità a Chiappa, da Nesto e Nita (“a Chiappa sto veramente bene, c’è tanta gioventù, ragazzi e ragazze” scrive; “il 29 giugno, San Pietro, è festa sull’Antola, si va a ballare, c’è molta gente, i rifugi riaperti dopo l’inverno sono pieni, si ci diverte, si dimentica con la bella giornata di sole la guerra, rientriamo verso sera”); la terza decade d’agosto reparti della Wehrmacht e delle forze armate di Salò puntano -da Chiavari, dal Pertuso, da Scoffèra- verso l’Antola; alla Casa del Piccetto c’è un distaccamento di partigiani, il comandante viene da Voltri, classe 1915, ha fatto la Benedicta; lo chiamano Sirio.
Nel primo pomeriggio del giorno 24 le avanguardie del rastrellamento son sul Prelà e sparano verso la casa del Piccetto: un partigiano, un ragazzo di Ottone, viene ferito ad un polmone. Lo portano via su una lesa: dai Musante un dottore gli estrae la pallottola, poi proseguono in giù fino ai Campassi; lo nascondono in una buca nel bosco: si salva.
Alla sera nell’osteria di Nesto, armato di mitra (e di quattro bottiglie di liquore da consegnare ai compagni) entra un partigiano del gruppo di Sirio: vuole dei muli. Non glieli danno: servono per un trasporto al Molino l’indomani mattina. Volano parole grosse. Alla fine qualcuno dice: ce ne sono a Piancassina, prova là.
Verso la mezzanotte Tan lo accompagna fino alla Casa del Piccetto, a posare le bottiglie, e insieme scendono a Piancassina a prendere i muli. Li ha Gasparino (classe 1911): “altra discussione animatissima” scrive Tan, “malgrado il mitra puntato”.
In fine, “Gasparino veste i muli e ci avviamo verso Senarega, nel tragitto si sentono numerosi spari, distinguo sia le velocissime seghe di Hitler che le più lente mitraglie Saint-Etienne dei partigiani. Mi rivolgo a Gasparino per chiedergli se la direzione degli spari è quella verso la Cappella del Roiale, in quel momento mi accorgo che il nervosissimo partigiano si è volatilizzato al sentire i primi spari. “Caro Gasparino, bisogna aver pazienza, sarà stato stanco, in fondo abbiamo girato tutta la notte”, quello mi risponde con un mesto sorriso, prima di ritornare a Pian Cassina ed io in Chiappa dove ormai è già chiaro e mi riposo un po’.
Al pomeriggio giochiamo a tennis (!), ignari che i tedeschi per rincorrere Antonio della Piccetta dopo che li ha abilmente seminati, stanno venendo verso di noi. Al “mani in alto” imposto da quattro militari tedeschi Antonio, fingendo in un primo momento di ubbidire, risponde mettendo in moto le sue lunghissime gambe e come un camoscio, anche se con una caviglia slogata, riesce a schivare le raffiche di mitra e a rifugiarsi in un canalone boschivo e a farla franca”.
Antonio sposa Ines nel 1957, nel 1958 nasce -a Busalla- il loro primo figlio. All'inizio degli anni ’60 risiedono ancora ai Lavazzuoli; oggi della Casa del Piccetto restano i muri.

giovedì 18 aprile 2024

Se non riesci a decidere, la risposta è NO

 Nuova tattica di sopravvivenza - imparare a dire di no!

D'altra parte: un Sì impiccia, un No spiccia - saggezza popolare.

Lo so che una parte di voi è incapace a farlo, e lo ero pure io, che era un continuo assentire, principalmente per il fatto che mi ero assegnato il ruolo del salvatore del mondo e degli affari altrui.

1° SPOILER - la maggior parte delle persone a cui dite sempre di sì, nell'occasione di ricambiare vi sfanculeranno, oppure procrastineranno, o più verosimilmente ve la faranno cadere dall'alto al punto che alla fine sarà stato meglio non chiedere nulla ed arrangiarsi.

2° SPOILER - la maggior parte delle persone a cui dite sempre sì, danno per scontato se non dovuto, il vostro assenso ed è quindi superfluo ringraziare. Non fatevi aspettative in tal senso.

Detto ciò - questa tattica del dissenso la sto adottando da diverso tempo, e devo riconoscere che ha dato eccellenti risultati, in primis mi ha tolto di torno una marea di opportunisti a vario titolo, sia famigli che semplici conoscenti, perché il NO si applica ad una molteplicità di occasioni e situazioni, insomma il NO va su tutto, un po' come il nero per le fashion victim.

C'è tutto un sistema commerciale basato sulla cultura del Sì, la cultura dell'assenso per educazione, dell'accettazione, della risposta alla domanda e dell'acquisto veicolato dalla compiacenza. I migliori manipolatori confidano proprio su questo per accalappiare le proprie cavie e vendergli la qualsiasi.

20/4/2024 - Poi per caso ecco in breve il concetto completo...

sabato 13 aprile 2024

Dagli dagli senza sbagli fa che la pozione quagli

il vino bianco non è bianco

il rosso dell'uovo non è rosso

un libro giallo non è di colore giallo

e un romanzo rosa non ha le pagine rosa

un film noir non è in bianco e nero

si dice a forma di cuore ❤️ ma il cuore ha un'altra forma

ti faccio vedere i sorci verdi - ma i sorci verdi non esistono (anche se era un modo di dire)

il gelato da passeggio Pinguino non è fatto coi pinguini

domenica 7 aprile 2024

Dell'utilità di avere in città Fontana di Trevi

La tradizione la vuole venduta a qualche ricco americano in cerca di un buon affare, ed a ben guardare con una stima di un milione e mezzo di euro di spiccioli all'anno, raccolti con periodicità dal fondo della vasca, Fontana di Trevi è davvero un buon investimento, durevole nel tempo, poi c'è la questione di investire in cultura che fa sempre buona impressione.
Due rapidi calcoli e scopriremo che Fontana di Trevi rende 4.109,58 euro al giorno.
Aperta h24 7su7 tolti i costi di personale, luce, pulizia periodica e manutenzione, compreso un restauro griffato Fendi, e con un buon sistema di riciclo idrico e purificazione che può avere i normali costi di una piscina da 3000 litri di acqua (*). 
Direi che l'investimento vale la spesa...



(*) 175 €/m³ per 3000 litri (3mc) fanno 525 euro di spesa.

mercoledì 3 aprile 2024

La persona intelligente risolve il problema, la persona saggia lo evita

Sono in un bar nella zona della stazione ferroviaria, assieme alla collega, per una pausa pranzo quieta prima di tornarcene a casa. L'orario è tranquillo e nessuno ha fretta, nemmeno noi che ci vogliamo rilassare dopo una mattinata impegnativa. Tutto fila ma poi... entra un extracomunitario, il barista lo guarda in tralice, senza salutare si butta su una sedia, posando sul tavolino la coperta lercia. Indossa delle ciabatte, un paio di jeans stracciati (che adesso vanno di moda) e una felpa con sopra un giubbotto imbottito, ma nell'insieme ha gli stessi capi dei pischelli che circolano in tuta da ginnastica. Siccome non è messo benissimo alcuni clienti si scansano, lui si siede allungando le gambe nel passaggio verso il bancone e resta lì a guardarsi attorno per un buon quarto d'ora; poi stimolato dalla cameriera sbotta:

Vino! - e indica un punto del tavolo dove probabilmente desidera sia posato il bicchiere.

La ragazza chiede: bianco o rosso? - richiesta legittima che tuttavia appare immediatamente fuori luogo, se non ironica.

Lui ci pensa e risolve: vianco!

Mentre aspetta inizia a pulirsi tra le dita dei piedi con le mani, in modo distratto. Da dietro al banco viene aperta una bottiglia di prosecco, il barista sempre più irritato anticipa: sono 4 euro!

Il tipo ci pensa, annuisce con la testa e si volta verso la vetrina. 

Passano una ventina di minuti in cui il vino non arriva, i soldi nemmeno e penso che forse potrei pagargli il vino, poi penso anche che forse sarebbe meglio un panino, poi decido di lasciar perdere e assieme alla collega restiamo ad osservare l'evolversi della situazione.

Il tipo sembra spazientirsi, borbotta qualcosa e poi esce senza salutare lasciando sul tavolo una serie di fazzoletti sporchi e a terra delle carte appallottolate.

A quel punto, mentre la ragazza passa a ripulire, e disinfettare, il barista commenta: è già il terzo da stamattina, gli porti l'ordinazione e poi se ne vanno senza pagare! Ora con tutto il buon cuore possibile, possiamo noi permetterci sei o sette clienti così ogni giorno?

Nessuno parla, ma chiaramente no, e il barista prosegue: e quando va bene lasciano solo sporco, a volte vanno in bagno e non ti dico cosa trovi quando escono.

La situazione è al limite, oltre il limite direi. Mi metto nei panni del barista che è lì per lavorare e mica può fare il suo lavoro a questo modo.


E' una situazione che non si risolve, destinata a ripresentarsi identica ogni giorno, in ogni bar attorno alla stazione; apri al mattino e trovi vomito e cartoni davanti alla saracinesca e arrivi sperando di non trovare la serranda forzata. E quando va bene qualcuno ha usato i vasi delle siepi come gabinetto e passi una buona mezz'ora a ripulire tutto. E con l'arrivo del caldo peggiora.

Si lavora così?

lunedì 1 aprile 2024

All'inizio sono tutti bravi, alla fine da dimenticare

Nessun pesce d'aprile da segnalare - ma uno epico lo ricordo! Fu quando attaccai alla schiena della Maestra Emma un pesce di carta che avevo disegnato. Durò il tempo della ricreazione, quando la bidella l'avvisò della questione. Non fui punito, perché il primo aprile tutto è concesso. Ma diciamolo, nell'epoca della maestra unica, la Maestra Emma era una mediocre; prossima alla pensione ci ha traghettato nella fanghiglia di un'istruzione ministeriale, gite ed uscite extra scolastiche vietate a prescindere, preghiera alla madonna tutte le mattine e rigoroso pensierino religioso ad ogni patrono. Insomma una rottura di coglioni.

Rimembranze a parte, lo scherzone d'Aprile anticipato lo ha causato il nubifragio di ieri, facendo saltare l'illuminazione pubblica, quindi strade al buio in tutto il quartiere e tanto risparmio energetico; che diciamolo con le strade buie sembra tutto migliore. Quindi eccomi reduce da una pasquetta di pioggia e tempo infame. Come unica nota poetica, segnalo la mostra su Italo Calvino di cui forse dettaglierò a delusione sedimentata. Tuttavia già domani avremo una tregua meteo, cosa che ha permesso di rilavare la biancheria, perché i panni asciugati in casa prendono quel sentore di cantina che poco giova al riposo notturno ed alle relazioni sociali.

Il resto è quiete relativa. I coglioni del 21c hanno esibito il loro rispetto dei vicini con una specie di barbecue in terrazza, felicemente interrotto dalla pioggia, con musica e urla. Tipico comportamento dei repressi, quelli che durante la settimana sopportano la vita insulsa in cui sono precipitati dopo il matrimonio e appena riescono devono scatenarsi, un po' come certi cani tolto il guinzaglio.

Potevamo fare a meno di imbecilli del genere? Sì - ma poi bisogna anche realizzare che sono in aumento e quindi non sarà possibile ne limitarli e tanto meno sgrezzarli. D'altra parte se non ci sono riusciti i loro genitori, figurarsi degli estranei. A quanto pare l'unico modo per condurre al rispetto certi elementi è il fatidico bastone&carota, ma anche quello pare sia una dimostrazione politically scorrect, quindi a conti fatti - fate il cazzo che volete, se poi arriveranno delle conseguenze - non lamentatevi.

venerdì 29 marzo 2024

Tre indizi sono una prova?

«Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».

Agatha Christie

Indizio - un quotidiano in formato cartaceo
Coincidenza - un telefono pubblico a scatti con il disco combinatore
Prova - una latteria aperta nel 1913


Primo indizio: trovandosi a dover viaggiare per diverse ore, la Signora Elvira, acquistato un quotidiano all'edicola della stazione, si appresta a sfogliarlo mentre il treno su cui si trova snocciola le fermate in perfetto orario.
Secondo indizio: seduto al tavolo di una trattoria del centro storico di Genova, Elio consuma con gusto un piatto di pollo arrosto profumato al rosmarino, annaffiandolo con un ottimo rossese.

Terzo indizio: volendosi concedere una pausa pomeridiana è ancora possibile acquistare, in una delle più antiche latterie cittadine, un cono di panera, tipico semifreddo genovese a base di panna e caffè.